My Hero Academia: molto più che la fine di un anime
My Hero Academia è terminato. Andiamo a tirare le somme con alcune considerazioni (personali) su uno degli anime e manga più importanti degli ultimi anni
*Quello che segue può sembrare un articolo atipico; non sarà un’analisi critica sull’ultima stagione dell’anime, ma bensì una riflessione su quello che ha significato (per chi scrive) My Hero Academia e il motivo per cui la ritengo una delle storie più coinvolgenti degli ultimi anni.
Si è concluso da qualche giorno l’anime di My Hero Academia, opera animata tratta dall’omonimo manga di Kōhei Horikoshi, che ha visto l’ultimo episodio andare in scena (anzi in streaming) su Crunchyroll il 13 dicembre scorso.
Così come il manga ci ha accompagnato per circa dieci anni, anche la serie animata è giunta a conclusione dopo ben otto intense ed emozionanti stagioni, adattando l’intera storia del manga in 170 episodi (lungometraggi esclusi).
Quello che My Hero Academia (MHA) lascia ai fan è indubbiamente una sensazione di profonda soddisfazione per come si sono concluse le avventure di Izuku Midoriya (Deku), All Might & Co., ma anche di incolmabile vuoto essendo giunto al termine uno degli anime più epici e memorabili degli ultimi anni che ha raccolto, anno dopo anno, stagione dopo stagione, un pubblico sempre maggiore.
My Hero Academia ha toccato corde emotive fortissime nei fan, sia del manga sia del solo anime, arrivando a picchi emozionali nel climax della final season che difficilmente si sono raggiunti nella visione di altri adattamenti animati tratti da opere a fumetti giapponesi.
Lacrime, risate e stupore hanno accompagnato la visione di chi scrive e, con ogni probabilità, anche quella dei milioni di fan in tutto il mondo.
MHA è stato celebrato e applaudito ovunque; la stessa Marvel, fonte d’ispirazione dell’autore per la creazione dei suoi personaggi, ha reso più volte omaggio all’opera di Horikoshi, rimarcando il forte legame che unisce la Casa delle Idee e la saga messa in atto dal mangaka, incentrata proprio sui supereroi e sul percorso che può trasformare dei semplici ragazzi nei più grandi eroi di tutti i tempi.
Questo dimostra ancora di più, come a livello internazionale le avventure degli studenti del liceo Yuei abbiano colpito i cuori di lettori e spettatori di tutto il mondo, consacrando l’opera come una delle più importanti del nuovo secolo.
Ma in cosa consiste la forza e il carisma di un’opera tanto acclamata come My Hero Academia?
I supereroi made in Japan
In primis, MHA analizza e inserisce il contesto supereroistico all’interno della cultura pop nipponica come mai era stato fatto prima dell’arrivo dell’opera di Horikoshi, attestando ancora una volta come la contaminazione tra Occidente e Oriente, tra comics e manga, tra cartoon e anime, sia sempre più globalizzata.
Se già qualcosa si era visto con One Punch Man, dove One e Yusuke Murata hanno descritto il mito dei supereroi nella maniera più classica, concentrandosi soprattutto sulla componente comica e su un protagonista praticamente invincibile (Saitama, il mio modello di vita), MHA entra invece visceralmente nella storia del fumetto supereroistico, portando a lettori e spettatori personaggi tridimensionali, dotati di superpoteri ma anche di “super problemi”, con personalità reali che affrontano i propri nemici con lealtà, virtù e sacrificio.
I super di Horikoshi, prendono visivamente e caratterialmente spunto dai supereroi americani, proiettandoli, però, in una cultura come quella giapponese che si rispecchia all’interno dei protagonisti.
Midoriya, Bakugo, Todoroki e tutti gli studenti della Yuei sono personaggi che affrontano un percorso di crescita sia a livello umano sia in quello da supereroi. Una tale caratterizzazione dei personaggi l’ho percepita solamente in un’altra opera orientale dal fortissimo impatto mediatico: Naruto.
Le back story che vengono analizzate nel corso dei 170 episodi di ogni personaggio fanno intendere come la costruzione di ogni singolo protagonista sia stata studiata e approfondita con molta cura dal proprio creatore, dando a ognuno lo spazio per crescere.
E non sono solo gli studenti a evolversi e ad appassionare i fan: anche i professori ed Eroi professionisti come All Might, Shota Aizawa, Hizashi Yamada,Gran Torino e altri affrontano un proprio percorso evolutivo all’interno della storia, spesso risolvendo situazioni irrisolte frutto degli errori o delle sconfitte del passato. Anche l’Unione dei villain, porta in scena personaggi con cui diventa spesso difficile non empatizzare quando si arriva a comprenderne il punto di vista (tranne All for One ovviamente!!).
L’Unione fa la (vera) forza
Ma ciò che più funziona e rende My Hero Academia unico è il messaggio principale, che può apparire in secondo piano nelle prime stagioni, ma che, mano a mano, emerge con sempre maggiore chiarezza, raggiungendo il suo punto più alto nel finale dell’anime: l’unione e l’amicizia sono la vera forza.
Nell’eterna lotta tra bene e male, non è un caso che il nemico principale della storia sia All For One (“tutti per uno”) e che voglia con ogni mezzo ottenere per sé l’incredibile potere del One For All (“uno per tutti”), detenuto da Deku.
Ed è proprio il protagonista a “insegnare” a tutti i comprimari e agli amici che un ragazzo come lui, nato privo di quirk in un mondo dove l’80% delle persone ha i superpoteri, può diventare fondamentale, l’unico in grado di contenere e utilizzare le abilità di tutti coloro che hanno ereditato nel tempo il One For All, anche a costo della propria vita. Un’impresa in cui neppure lo stesso All Might, il supereroe più forte di tutti i tempi, era riuscito pienamente.
Ma neanche Deku, da solo, è sufficiente per sconfiggere il male supremo: solo grazie all’aiuto di tutti (Bakugo compreso, autore di un ingresso e di una performance da brivido negli episodi finali) e all’amicizia che lega ciascun personaggio all’altro, l’impossibile diventa possibile.
Anche in questo caso, c’è da ricordare e notare come nei primi episodi Midoriya affermi come “questa è la storia di come sono diventato l’eroe n. 1“, mentre alla fine dell’ultimo episodio viene precisato:
“E anche…la storia di come siamo diventati tutti i più grandi eroi“.
Un finale che premia tutti, perchè Midoriya è il protagonista che inizia questo cammino da solo, ma alla fine della storia si ritrova in compagnia di moltissimi amici.
Se pensate che tutto questo sia condito da epicità, scene d’azione incredibili e personaggi che riescono, anche nel finale, a trovare ognuno il proprio spazio e il proprio piccolo momento di gloria… capite che la forza di MHA sta nell’insieme di tutto ciò che lo compone.
Il raggiungimento degli obiettivi di squadra, la collaborazione, l’affiatamento e i legami sono il frutto di una crescita collettiva. I concetti espressi in My Hero Academia dovrebbero essere oggetto di vere e proprie sessioni di team building nelle aziende, perché il messaggio è chiaro e mi trova pienamente d’accordo: solo insieme si può arrivare in alto.
E infine c’è la bravura del suo autore, Kōhei Horikoshi, e dello Studio Bones, che si è occupato dell’adattamento sin dalla prima stagione ed è riuscito a trasporre sullo schermo le stesse sensazioni ed emozioni vissute nella parte finale del manga.
Quello che ho spesso notato in molti manga e, di conseguenza, negli anime, è la mancanza di un finale adeguato: MHA, invece, riesce a costruire un epilogo perfettamente coerente con la storia raccontata.
Horikoshi ha dichiarato in una recente intervista che le ultime quattro pagine di ogni capitolo sono fondamentali, perché sono quelle che, a distanza di una settimana (la cadenza di uscita dei capitoli sulle riviste giapponesi), rimangono più impresse se realizzate con cura e con il giusto cliffhanger.
La stagione 8 dell’anime è un climax continuo, e ritengo che l’intera battaglia contro All For One e Shigaraki rappresenti proprio quelle fatidiche “quattro pagine” di cui parla Horikoshi: qualcosa che non si dimentica.