Oggi su Essenza Ludica spazio ai picchiaduro di un certo livello: Mother Russia Bleeds titolo che ha ridefinito radicalmente il concetto di Rated X in un videogioco
Per la rubrica Essenza Ludica, l’appuntamento fisso settimanale per ogni amante del mondo dei videogame, oggi parliamo di qualcosa di molto speciale. Di che cosa? Beh… continuate a leggere se volete scoprirlo!
Mother Russia Bleeds
La prima cosa che salta all’occhio di Mother Russia Bleeds è di come questo ridefinisca radicalmente il concetto di Rated X in un videogioco. Lontani dal gore esilarate di Mortal Kombat, dalle evasioni folli di un GTA, il degrado, la violenza e la depravazione messi in scena sono qualcosa di mai visto in un videogioco (ci si ritrova letteralmente a dover spaccare teste di tossiche sdentate in ciabatte con tazze del cesso spargendo cervella per terra mentre queste cercano di pugnalarvi con siringhe infette di AIDS).
La bassa risoluzione è perfetta per restituire la sensazione di squallore, marciume e degrado degli scenari.
Ma, incredibilmente, tutto viene condito sapientemente con quella giusta punta di arguzia che alla fine riesce a “fare il giro” e ti fa mandare giù tutto. Esattamente come nel film Robocop del 1989, la componente satirica che permeava l’intera pellicola alleggeriva una crudeltà che sarebbe stata altrimenti insopportabile.
E’ anche interessante scoprire come questa rappresentazione della Madre Russia, ben oltre i confini del cattivo gusto, sia stata amata anche da molti gamer sovietici. Cito testualmente alcuni commenti scovati in rete:
This is the most offensive stereotype ever made about my country. But I love it, and somehow it’s all true. (Questo è lo stereotipo più offensivo mai creato sul mio Paese. Ma lo adoro, e in qualche modo è tutto vero.)
Ci tengo a sottolineare, a questo punto, che il sottoscritto nutre una forte (anzi fortissima) idiosincrasia nei confronti del mondo alt-right, del loro black humor fascista e del loro razzismo spacciato per “politically uncorrect”.
Questo per dire che dietro Mother Russia Bleeds c’è un lavoro fatto da un team francese con le palle quadrate, che riesce — incredibilmente — a mantenersi costantemente in equilibrio su quel filo sottilissimo di lucidità che attraversa il politicamente scorretto, sospeso tra la volgarità di chi ci crede e il black humor di chi ne fa uso autocompiacendosi.
La cura dietro al design di questo titolo è quindi tutt’altro che improvvisata, e possiamo tranquillamente dire che Mother Russia Bleeds è il gioco di cattivo gusto fatto con più gusto della storia.
Il livello nel Club sadomaso è qualcosa di INCREDIBILE.
Una pixel art X- rated
Viviamo in tempi dominati dalla pixel art, anche quando (spesso) non sembra essere necessaria. Un orpello lezioso che nulla porta se non arruffianarsi l’utenza con un espediente ormai stanco.
Fatta questa doverosa premessa, credo sinceramente che l’atmosfera, il tono e le tinte di questo titolo sarebbero impossibili da ricreare con uno stile diverso. Il degrado, lo sporco, il sangue, le viscere, lo schifo che trasuda da ogni quartiere vivono di un realismo che solo la natura sgraziata e sgranata della bassa risoluzione riesce a restituire con tanta efficacia. Cammini per strada e ti sembra quasi di sentirne la puzza, il tanfo, tanto sono vivi e credibili gli scorci offerti dal gioco.
Il comparto sonoro, invece, è una mitragliata (assolutamente appropriata) di elettronica prevalentemente techno/industrial-rave, con una cassa e delle basse che, ascoltate in un impianto adeguato, ti sciolgono la faccia. In quanto musicista, l’ho giocato nello studio di registrazione del mio chitarrista, e il divano… tremava!
F-a-n-t-a-s-t-i-c-o.
Quattro improbabili antieroi senza più niente da perdere contro un potere marcio, violento e corrotto. Uno scenario che sarebbe piaciuto molto a Frank Miller per Sin City.
Falce, martello, droghe sperimentali e mille modi di uccidere
Lo dico tranquillamente: prima di Mother Russia Bleeds, per me i picchiaduro a scorrimento erano morti da più di due decadi. Parlo di un genere che ho letteralmente ADORATO da ragazzino — il mio genere preferito, infatti — su cui ho passato weekend interi nella sala giochi del bowling della città di Alessandria.
Double Dragon, Double Dragon II, Golden Axe, Final Fight, TMNT, Knights of the Round, Cadillacs & Dinosaurs, Vendetta e pure i primi del Neo Geo, quelle due ciofeche di Burning Fight e Sengoku 1 mi hanno accompagnato per intere giornate. Con il passaggio alla console, la passione è continuata con Streets of Rage, i seguiti di Final Fight su SNES, il meraviglioso Ninja Warriors Again, e molti altri.
Ora non riesco più a giocarne uno di quei giochi: hanno un effetto soporifero sul sottoscritto, compresi i nuovi titoli. Ma in verità, ad essere onesti, anche all’epoca, nel passaggio dal cabinato al salotto, qualcosa era andato perso.
Giocare a Final Fight in sala giochi era una scarica di adrenalina, giocarci a casa no. Era sempre divertente, sì, ma mancava qualcosa.
Forse la mancanza di tensione per i credits, che a casa erano infiniti, mentre in sala giochi erano ‘solo’ quei quattro gettoni che ti dovevano durare per tutta la serata? Forse la grafica fuori scala e “adulta”, che ti faceva sentire come se stessi giocando a qualcosa di proibito, ma che poi a casa, abituato ai 16 bit, diventava tutto più innocuo?
Qualsiasi cosa fosse, compensava un gameplay appagante ma in realtà estremamente limitato, che estrapolato da quel contesto diventava addirittura soporifero. E così tutti gli altri.
Ad oggi, l’unico picchiaduro che mi ritrovo a ‘mettere su’ e rifare dall’inizio alla fine è sempre il solito Vendetta, l’unico rimasto fresco in quel mare di sonniferi nei quali, al massimo, posso rifarmi il primo livello per un po’ di nostalgia e poi staccare al secondo, quando già mi si stanno chiudendo gli occhi.
Fa pensare che, in realtà, il capostipite di Technōs, il primo Double Dragon, seppur primitivo, avesse (e ha ancora) un gameplay decisamente più tecnico, interessante e avanzato di quello adottato poi da Capcom e SEGA.
Di fatto, col senno di poi, hanno “inquinato” il genere (soprattutto Capcom) fino a farlo morire, imponendo un modello che era sì più immediato e inizialmente appagante, ma alla lunga estremamente meno longevo.
Tutto questo per arrivare a Mother Russia Bleeds, il quale, con intelligenza, si scansa dai due pilastri citati e riparte proprio dal picchiaduro col gameplay invecchiato meglio di tutti: Vendetta. E non lo fa ricalcandone le meccaniche: al contrario, il combat system di MRB è un sistema originale che vive di vita propria.
Quello che prende dal capolavoro Konami è l’idea del ritmo che un beat ’em up deve avere per essere avvincente dall’inizio alla fine. Un ritmo dato da precisi fattori: l’IA dei nemici, che non ti vengono addosso come zombie ma — anche i più sfigati — vendono cara la pelle; il level design, che oltre a quanto già detto, offre situazioni sempre diverse; e soprattutto gli avversari, sempre coerenti con il momento e mai buttati lì a caso lanciando i dadi.
La quantità impressionante di armi e oggetti utilizzabili — armi bianche, da fuoco, contundenti, fino a ogni tipo di oggetto improvvisato ricavato dallo scenario — può avere effetti tanto devastanti quanto assolutamente ridicoli.
E poi le boss fight, una più bella dell’altra: c’è quello grasso e invincibile che devi spingere a mazzate per farlo finire nel tritarifiuti, quello con la catena che devi far sbagliare per colpire i suoi e poi prenderlo alle spalle, quello che devi stordire mentre si trova sui binari per farlo investire dal treno… e così via.
Ma tutto questo sarebbe aria fritta se, alla fine, la resa complessiva non funzionasse. Ed è qui il grande risultato di questo titolo: l’effetto iniziale dei primi tre minuti è strano, come è strano giocare a un picchiaduro a scorrimento un po’ grezzo che non si controlla come Final Fight o Streets of Rage dopo trent’anni di cloni. Ma una volta entrati dentro… sbam: la foga, l’entusiasmo, l’adrenalina, le bestemmie, le risate.
Dopo tre decadi di sonniferi, era come essere tornati di nuovo nella sala giochi del bowling della mia città — pur con i crediti infiniti e senza il fascino del cabinato e di tutto il resto.
Conclusioni
Mother Russia Bleeds non è solo un picchiaduro a scorrimento di razza, ma è un picchiaduro a scorrimento nuovo con una sua identità, fortissima, di setting e di gameplay che restituisce al genere (e al giocatore) quella scarica di adrenalina che sembrava ormai perduta per sempre. Va giocato rigorosamente in 2 (o più) persone, su uno schermo immenso e con il volume al massimo. Ed è assolutamente irresistibile.