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My Hero Academia: molto più che la fine di un anime

My Hero Academia è terminato. Andiamo a tirare le somme con alcune considerazioni (personali) su uno degli anime e manga più importanti degli ultimi anni

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*Quello che segue può sembrare un articolo atipico; non sarà un’analisi critica sull’ultima stagione dell’anime, ma bensì una riflessione su quello che ha significato (per chi scrive) My Hero Academia e il motivo per cui la ritengo una delle storie più coinvolgenti degli ultimi anni.

Si è concluso da qualche giorno l’anime di My Hero Academia, opera animata tratta dall’omonimo manga di Kōhei Horikoshi, che ha visto l’ultimo episodio andare in scena (anzi in streaming) su Crunchyroll il 13 dicembre scorso.

Così come il manga ci ha accompagnato per circa dieci anni, anche la serie animata è giunta a conclusione dopo ben otto intense ed emozionanti stagioni, adattando l’intera storia del manga in 170 episodi (lungometraggi esclusi).

Quello che My Hero Academia (MHA) lascia ai fan è indubbiamente una sensazione di profonda soddisfazione per come si sono concluse le avventure di Izuku Midoriya (Deku), All Might & Co., ma anche di incolmabile vuoto essendo giunto al termine uno degli anime più epici e memorabili degli ultimi anni che ha raccolto, anno dopo anno, stagione dopo stagione, un pubblico sempre maggiore.

My Hero Academia ha toccato corde emotive fortissime nei fan, sia del manga sia del solo anime, arrivando a picchi emozionali nel climax della final season che difficilmente si sono raggiunti nella visione di altri adattamenti animati tratti da opere a fumetti giapponesi.

Lacrime, risate e stupore hanno accompagnato la visione di chi scrive e, con ogni probabilità, anche quella dei milioni di fan in tutto il mondo.

MHA è stato celebrato e applaudito ovunque; la stessa Marvel, fonte d’ispirazione dell’autore per la creazione dei suoi personaggi, ha reso più volte omaggio all’opera di Horikoshi, rimarcando il forte legame che unisce la Casa delle Idee e la saga messa in atto dal mangaka, incentrata proprio sui supereroi e sul percorso che può trasformare dei semplici ragazzi nei più grandi eroi di tutti i tempi.

Questo dimostra ancora di più, come a livello internazionale le avventure degli studenti del liceo Yuei abbiano colpito i cuori di lettori e spettatori di tutto il mondo, consacrando l’opera come una delle più importanti del nuovo secolo.

Ma in cosa consiste la forza e il carisma di un’opera tanto acclamata come My Hero Academia?

I supereroi made in Japan

In primis, MHA analizza e inserisce il contesto supereroistico all’interno della cultura pop nipponica come mai era stato fatto prima dell’arrivo dell’opera di Horikoshi, attestando ancora una volta come la contaminazione tra Occidente e Oriente, tra comics e manga, tra cartoon e anime, sia sempre più globalizzata.

Se già qualcosa si era visto con One Punch Man, dove One e Yusuke Murata hanno descritto il mito dei supereroi nella maniera più classica, concentrandosi soprattutto sulla componente comica e su un protagonista praticamente invincibile (Saitama, il mio modello di vita), MHA entra invece visceralmente nella storia del fumetto supereroistico, portando a lettori e spettatori personaggi tridimensionali, dotati di superpoteri ma anche di “super problemi”, con personalità reali che affrontano i propri nemici con lealtà, virtù e sacrificio.

I super di Horikoshi, prendono visivamente e caratterialmente spunto dai supereroi americani, proiettandoli, però, in una cultura come quella giapponese che si rispecchia all’interno dei protagonisti.

Midoriya, Bakugo, Todoroki e tutti gli studenti della Yuei sono personaggi che affrontano un percorso di crescita sia a livello umano sia in quello da supereroi. Una tale caratterizzazione dei personaggi l’ho percepita solamente in un’altra opera orientale dal fortissimo impatto mediatico: Naruto.

Le back story che vengono analizzate nel corso dei 170 episodi di ogni personaggio fanno intendere come la costruzione di ogni singolo protagonista sia stata studiata e approfondita con molta cura dal proprio creatore, dando a ognuno lo spazio per crescere.

E non sono solo gli studenti a evolversi e ad appassionare i fan: anche i professori ed Eroi professionisti come All Might, Shota Aizawa, Hizashi Yamada, Gran Torino e altri affrontano un proprio percorso evolutivo all’interno della storia, spesso risolvendo situazioni irrisolte frutto degli errori o delle sconfitte del passato. Anche l’Unione dei villain, porta in scena personaggi con cui diventa spesso difficile non empatizzare quando si arriva a comprenderne il punto di vista (tranne All for One ovviamente!!).

L’Unione fa la (vera) forza

Ma ciò che più funziona e rende My Hero Academia unico è il messaggio principale, che può apparire in secondo piano nelle prime stagioni, ma che, mano a mano, emerge con sempre maggiore chiarezza, raggiungendo il suo punto più alto nel finale dell’anime: l’unione e l’amicizia sono la vera forza.

Nell’eterna lotta tra bene e male, non è un caso che il nemico principale della storia sia All For One (“tutti per uno”) e che voglia con ogni mezzo ottenere per sé l’incredibile potere del One For All (“uno per tutti”), detenuto da Deku.

Ed è proprio il protagonista a “insegnare” a tutti i comprimari e agli amici che un ragazzo come lui, nato privo di quirk in un mondo dove l’80% delle persone ha i superpoteri, può diventare fondamentale, l’unico in grado di contenere e utilizzare le abilità di tutti coloro che hanno ereditato nel tempo il One For All, anche a costo della propria vita. Un’impresa in cui neppure lo stesso All Might, il supereroe più forte di tutti i tempi, era riuscito pienamente.

Ma neanche Deku, da solo, è sufficiente per sconfiggere il male supremo: solo grazie all’aiuto di tutti (Bakugo compreso, autore di un ingresso e di una performance da brivido negli episodi finali) e all’amicizia che lega ciascun personaggio all’altro, l’impossibile diventa possibile.

Anche in questo caso, c’è da ricordare e notare come nei primi episodi Midoriya affermi come “questa è la storia di come sono diventato l’eroe n. 1“, mentre alla fine dell’ultimo episodio viene precisato:

E anche…la storia di come siamo diventati tutti i più grandi eroi“.

Un finale che premia tutti, perchè Midoriya è il protagonista che inizia questo cammino da solo, ma alla fine della storia si ritrova in compagnia di moltissimi amici.

Se pensate che tutto questo sia condito da epicità, scene d’azione incredibili e personaggi che riescono, anche nel finale, a trovare ognuno il proprio spazio e il proprio piccolo momento di gloria… capite che la forza di MHA sta nell’insieme di tutto ciò che lo compone.

Il raggiungimento degli obiettivi di squadra, la collaborazione, l’affiatamento e i legami sono il frutto di una crescita collettiva. I concetti espressi in My Hero Academia dovrebbero essere oggetto di vere e proprie sessioni di team building nelle aziende, perché il messaggio è chiaro e mi trova pienamente d’accordo: solo insieme si può arrivare in alto.

E infine c’è la bravura del suo autore, Kōhei Horikoshi, e dello Studio Bones, che si è occupato dell’adattamento sin dalla prima stagione ed è riuscito a trasporre sullo schermo le stesse sensazioni ed emozioni vissute nella parte finale del manga.

Quello che ho spesso notato in molti manga e, di conseguenza, negli anime, è la mancanza di un finale adeguato: MHA, invece, riesce a costruire un epilogo perfettamente coerente con la storia raccontata.

Horikoshi ha dichiarato in una recente intervista che le ultime quattro pagine di ogni capitolo sono fondamentali, perché sono quelle che, a distanza di una settimana (la cadenza di uscita dei capitoli sulle riviste giapponesi), rimangono più impresse se realizzate con cura e con il giusto cliffhanger.

La stagione 8 dell’anime è un climax continuo, e ritengo che l’intera battaglia contro All For One e Shigaraki rappresenti proprio quelle fatidiche “quattro pagine” di cui parla Horikoshi: qualcosa che non si dimentica.

PLUS ULTRA!

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Arrivano i FULLMETAL ANIME, la band Rock-Metal che celebra il mondo degli Anime

Sono in arrivo i FULLMETAL ANIME, la band Rock-Metal italiana che fonde la potenza del live con l’immaginario dilagante degli anime giapponesi

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Siete pronti a una nuova band? Nascono i FULLMETAL ANIME e questo è il comunicato stampa con cui si presentano e che molto volentieri condividiamo con i nostri lettori.


NASCONO I FULLMETAL ANIME
La band Rock-Metal italiana che apre un portale nel mondo degli Anime giapponesi

Sei musicisti professionisti provenienti da diversi generi si uniscono per dare vita a un nuovo progetto, che fonde la potenza del live con l’immaginario dilagante degli anime giapponesi: nascono i FULLMETAL ANIME.

Non sono una cartoon cover band: sono un’esperienza sonora e visiva che celebra la cultura nipponica tra passato e futuro.
Ogni loro brano diventa un portale, capace di farci entrare nel mondo degli anime: una fusione di Metal e J-Rock con l’emozione pura delle opening ed ending giapponesi più amate.

Il risultato? Un viaggio che attraversa mondi, emozioni e generazioni: da My Hero Academia a Fullmetal Alchemist, da Demon Slayer a One Punch Man e il recentissimo K-Pop Demon Hunters, eseguite in lingua originale. Questa scelta sottolinea l’importanza che oggi hanno le canzoni originali giapponesi, un fenomeno in continua crescita in Italia grazie alla diffusione garantita dai servizi di streaming e dai canali TV, che ormai importano il prodotto mediale nella sua integralità.

Il misterioso debutto social della band, con il chitarrista invisibile, segna l’inizio di un percorso che li porterà sui palchi delle fiere del fumetto ed eventi cosplay italiani, con uno spettacolo che parla tanto agli amanti del Rock-Metal quanto ai fan dell’animazione giapponese.

Make-up e costumi, ideati per fondere tradizione e modernità, completano il tratto distintivo di uno spettacolo intenso, un carico di energia, emozioni e divertimento, dove band e spettatore diventano una cosa sola.

COSA SUCCEDERÀ NEI PROSSIMI MESI

  • Debutto social: 24 novembre 2025
  • Primo video musicale: pubblicazione su YouTube – 5 dicembre 2025
    Link: https://youtu.be/-wEEPC_hz3g
  • Tour 2026: fiere del fumetto ed eventi nerd in tutta Italia

Di seguito il video musicale:

I Fullmetal Anime sono:

Roberto Castellin – Male Lead Vocal

Chiara Poggioli – Female Lead Vocal

Filippo Naso – Guitars

Sebastiano Men – Guitars

Tommaso Silvan – Bass

Alberto Lèmoni – Drums & Percussion

“Scopri il mondo degli anime con noi, dove ogni canzone apre un portale di emozioni e immaginazione.”

LINK E CONTATTI

Instagram / YouTube / Facebook / TikTok: @fma.fullmetalanime

Fonte: CS FULLMETAL ANIME

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Dentro Gachiakuta: un viaggio tra rottami, rabbia e meraviglia

Gachiakuta si prepara ad essere nominato tra gli anime più forti del momento, conquistando il suo pubblico con macerie, rottami e meraviglia.

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Mettersi davanti a Gachiakuta significa accettare una sfida. Non una di quelle patinate, costruite per piacere a tutti, ma un salto tra le macerie di una civiltà distrutta, rabbia, ideali e bellezza distopica.

Nel dettaglio non stiamo parlando della classica opera che pone al centro dell’attenzione la sola forza bruta o fantastici incantamenti. Anzi, Gachiakuta è un titolo che non si limita a chiederti attenzione, te la strappa via, come un artista di strada che ti blocca al semaforo e ti racconta una storia che non sapevi di voler ascoltare.

Allo stesso tempo però ti conquista grazie allo stile controcorrente della sua autrice, Kei Urana, affiancata dal genio visionario di Atsushi Okubo. Guardando l’anime (che trovi su Crunchyroll) ci si accorge di quanto quest’opera sia davvero fuori misura, fuori standard, fuori… quasi tutto.

Chi ci entra per la prima volta deve prepararsi psicologicamente ad immergersi in una realtà che sembra essere senza speranze. La terra è stata devastata da enormi crepe. Non si tratta però di crepe eroiche o romantiche che adorano i blockbuster, ma spaccature vere, quelle nate dallo scarto della società, dalla paura di ciò che si getta via, materiale o umano che sia.

Proprio per questo Gachiakuta è un’opera che trova modo di distinguersi. Perché non vuole fare la morale, non si mette in posa per dispensare insegnamenti, ma mette lo spettatore davanti al caos e lo obbliga a sentire qualcosa. A volte fastidio, altre volte stupore. E spesso entrambi, ma adesso vediamo insieme i dettagli della trama.

Trama e dettagli di Gachiakuta

La trama di Gachiakuta si apre in un mondo diviso in due, dove la distanza tra chi vive sopra e chi viene gettato sotto non è solo geografica, ma profondamente morale. Al centro c’è un ragazzo che conosce meglio di chiunque altro il peso degli oggetti scartati e delle persone considerate superflue.

La sua vita procede ai margini, in un equilibrio fragile fatto di sopravvivenza, lealtà e una rabbia silenziosa che sembra pronta a esplodere.

Quando un evento improvviso lo trascina oltre il limite del suo stesso destino, il protagonista viene catapultato in un ambiente brutale e pulsante, popolato da figure che vivono come rifiuti… ma che possiedono una forza, un’umanità e un potenziale che il mondo di sopra non saprebbe nemmeno immaginare.

Amo Gachiakuta

È l’inizio di un viaggio che mescola mistero, lotta, scoperta e uno strano tipo di bellezza nata tra macerie e ingranaggi. Nell’universo di Gachiakuta nulla è davvero ciò che sembra e ogni cosa buttata via ha ancora una storia da raccontare.

Ma Gachiakuta non punta solo a raccontare la bellezza delle cose che nessuno vuole più.  Attraverso alcuni episodi, è possibile guardare come l’autore ha saputo proporre temi delicatissimi, come gli abusi sessuali, la povertà estrema e il dolore di restare orfani.

Lo stile che rompe tutti gli schemi 

L’elemento che forse sta rendendo Gachiakuta uno dei migliori anime del momento è sicuramente lo stile. Lo stile personale di Kei Urana ha qualcosa di selvaticamente magnetico. Non è un autore che procede in punta di piedi. Anzi, adora spalancare porte con potenza e scardinare regole.

Potremmo affermare che è in questo stile particolare che si percepisce l’eredità iconica di Okubo, quello spirito un po’punk, un po’grottesco, un po’poetico che ha segnato Soul Eater e Fire Force.

Ma in occasione di Gachiakuta assume una forma nuova, più tagliente, come se il design stesso volesse protestare contro la propria cornice. L’anime riprende quell’energia e la amplifica con animazioni sferzanti, un lavoro di colore che alterna saturazione estrema a toni spenti. Anche le colonne sonore dal sapore fortemente elettronico, sono state collocate in maniera minuziosa rispecchiando a pieno lo stile post-punk dell’opera.

Gachiakuta

Non è uno di quegli anime che si guardano mentre si scrolla il telefono. Ti prende per il bavero e ti chiede di stare qui perché ogni minimo dettaglio sembra portarti a ragionamenti abbastanza complessi. Guardandolo, si ha la costante sensazione di osservare un mondo che pulsa di dolore ma anche di voglia di riscatto.

Non solo disperazione, Gachiakuta ci insegna ad avere veramente cura delle cose

Gli stessi personaggi, nascondono alle loro spalle passati turbolenti ed eventi catastrofici. Ma nonostante tutto amano perdersi in scontri mozzafiato, aiutati naturalmente dai loro Jinki. Quando diciamo che in Gachiakuta si da la giusta importanza a qualsiasi oggetto, è proprio perché ognuno dei protagonisti impugna un oggetto, spesso vecchio e malconcio, ma capace di trasformarsi in un arma mistica.

Nel dettaglio i Jinki sono strumenti che non nascono dalla tecnologia pura, ma dall’emozione sedimentata negli oggetti buttati nella spazzatura. Ogni Jinki si manifesta quando un oggetto, spesso comune, spesso ignorato, conserva dentro di sé una componente emotiva così intensa da reagire a chi lo impugna.

Gachiakuta

È come se la memoria affettiva, il rancore o l’amore dimenticato di quell’oggetto trovassero finalmente un canale per esprimersi. Le persone in grado di usarli, vengono chiamate Givers, attingono a questa energia latente e la modellano in forme uniche, quasi sempre imprevedibili, che riflettono la personalità e le emozioni di chi li utilizza.

Ne consegue un sistema di poteri che non ha nulla di pulito o standardizzato. Nel dettaglio ogni Jinki è sporco di vissuto, di rottura, di storia accumulata. Non è solo potere, è identità che prende forma, un legame intimo tra rifiuto e rinascita, tra ciò che il mondo scarta e ciò che invece torna a brillare con forza devastante.

Proprio sul concetto di rifiuto è doveroso fare una precisazione. In Gachiakuta si gioca tantissimo con l’idea di rifiuto come categoria narrativa. Non si tratta di ciò che genericamente viene rifiutato, ma parliamo più di ciò che il mondo preferisce non vedere.

È difficile non pensare a come questa sia una metafora feroce ma lucidissima della nostra epoca, dove tutto è consumato, filtrato, buttato e rimpiazzato con una disinvoltura che sfiora l’incoscienza.

Conclusioni 

Arrivati nella fase finale della nostra analisi possiamo affermare che l’anime di Gachiakuta non perde mai il suo spirito quasi ribelle. Anzi, la sua voglia di sporcare e sporcarsi compare irruenta quasi come un graffito fatto di corsa in una notte di pioggia.

Anche quando il ritmo accelera, o quando l’azione prende il sopravvento, c’è sempre un’attenzione maniacale al dettaglio che rende l’esperienza ipnotica. I movimenti dei personaggi, le espressioni, gli spazi vuoti: tutto sembra dire qualcosa in più rispetto alla semplice trama.

Ma forse, ciò che veramente contraddistingue Gachiakuta da moltissimi titoli che circolano ultimamente, è la capacità di comunicare subito un’identità. Difatti, è uno di quegli anime che riconosci dopo due secondi di fotogramma, come certi brani che bastano tre note per farli tuoi.

Gachiakuta

Ha un estetica disturbante, a tratti anche deprimente, ma allo stesso tempo distopica e affascinante. La caratterizzazione dei personaggi sembra uscita da un laboratorio di fantascienza urbana. E poi c’è la rabbia creativa, quella vera, quella che non è solo sfogo ma trasformazione, che Urana riesce a incanalare in ogni elemento dell’opera senza mai perdere il controllo.

In conclusione Gachiakuta non vuole essere carino. Vuole essere vivo. E in un panorama di anime dove spesso tutto tende verso la levigatezza, la sua irregolarità è una boccata d’innovazione. È un titolo che divide, scuote, costringe a guardare ciò che si butta via. E nel farlo, ricorda che anche nel caos più sporco possono nascere forme di bellezza nuove, brutali, memorabili.

Se il mondo degli anime fosse un mercato notturno, Gachiakuta sarebbe quel banchetto in fondo alla via, pieno di oggetti strani, luci intermittenti e un venditore che ti guarda come se sapesse già che tornerai. Ed è proprio questo a renderlo irresistibile: la sensazione di essere davanti a qualcosa che non vuole solo intrattenerti, ma cambiarti un po’, anche senza dirlo.

Queste restano le nostre riflessioni merito alla serie anime Gachiakuta ma se vuoi conoscere maggiori dettagli anche sul manga originale, visita questo link.

Gachiakuta

 

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Absolute Cinema: Chainsaw Man – La Storia di Reze

Il nuovo, esplosivo, capitolo dell’anime di Chainsaw Man, targato Studio MAPPA, arriva sul grande schermo per brillare!

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Chainsaw Man – La storia di Reze è il sequel diretto della prima stagione dell’anime di Chainsaw Man uscito su Crunchyroll nel 2023.

Il lungometraggio, distribuito in Italia da Eagle Pictures, adatta l’intero arco narrativo di Reze, dal capitolo 40 al 52 del manga.

Probabilmente, chi è interessato al film ha già visto i 12 episodi usciti finora o, quantomeno, ha letto il manga di Tatsuki Fujimoto. Ma nel caso qualcuno ne avesse bisogno, ecco un piccolo riassunto.

Come tutto ebbe inizio

Denji è un orfano, non ha amici né una casa in cui vivere. Fin da piccolo è costretto a lavorare per la Yakuza per ripagare il debito che suo padre, morto suicida, ha lasciato nei loro confronti. È palese che questa non è la vita di un normale adolescente e, forse, non è nemmeno una vita degna d’essere vissuta. Fortunatamente, sulla sua strada incontra Pochita, un piccolo diavolo amichevole, carino e tondeggiante, ma con una pericolosa motosega sulla testa.

Per sopravvivere vende parti del proprio corpo ma, non essendo un’attività particolarmente sostenibile, sceglie successivamente di diventare un cacciatore di diavoli. È una vita logorante, ma ciò che lo separa dal farla finita è la speranza di poter realizzare i suoi sogni: fare colazione con pane e marmellata, uscire con una ragazza, abbracciarla. Cose semplici, banali, ma per lui di grande importanza.

Purtroppo, la fortuna continua a non essere dalla sua parte perché durante uno scontro col Diavolo Zombie, Denji perde la vita e Pochita resta gravemente ferito. Per evitare il peggio, il diavoletto sceglie di stringere un contratto con l’amico: gli donerà il suo cuore a patto che cerchi di realizzare i sogni di cui tanto hanno parlato.

Denji, diventato ora un ibrido tra un umano e un diavolo, ha finalmente la possibilità, collaborando col governo, di vivere una vita normale. La strada per la felicità, però, è ancora molto lontana.

Cambiare idea

Qualche anno fa, Chainsaw Man era il manga del momento, tutti ne parlavano e tutti lo elogiavano. Le mie aspettative erano, quindi, molto alte e, a causa di ciò, forse, rimasi deluso: la storia non mi aveva coinvolto particolarmente e i disegni mi sembravano scadenti e respingenti. Ciò che mi aveva colpito fin dalla prima lettura, però, era stata la grande fantasia del character design dei diavoli e dei loro poteri e l’impostazione cinematografica delle tavole che dava comunque grande fluidità e freschezza alla lettura.

Leggendo, poi, i primi undici volumi una seconda e una terza volta ho capito di aver giudicato l’opera frettolosamente. Ho apprezzato maggiormente la narrazione e sono riuscito ad entrare più in sintonia con i protagonisti. Anche il disegno, estremamente minuzioso nei dettagli ma sintetico nella rappresentazione degli esseri umani, ha acquisito, ai miei occhi, grande importanza ed efficacia.

Dal manga al grande schermo

Ma si sa, non tutto ciò che funziona tra le pagine dei tankōbon, funziona a schermo. L’anime, purtroppo, non è riuscito minimamente a restituire le atmosfere orrorifiche e malinconiche che la controparte cartacea trasmette.

Questa volta, però, Studio MAPPA non ha sbagliato! L’idea di puntare su un unico film invece di disperdere il budget su diversi episodi ha ripagato alla grande. La regia dei combattimenti e quella di vita quotidiana di Tatsuya Yoshihara (già regista di alcuni episodi della serie tv) è ispiratissima e le animazioni scorrono fluide e naturali, non sfigurando rispetto ad altri prodotti animati, hollywoodiani e non. Grande risalto ha la scelta cromatica delle inquadrature: sequenze con colori pastello, calde e rilassanti, si alternano a momenti caratterizzati da colori accesi e brillanti incarnando perfettamente la duplice anima di Chainsaw Man e dei suoi protagonisti.

A mettere la ciliegina sulla torta del comparto tecnico è la caleidoscopica e frenetica opening cantata da Kenshi Yonezu, Iris Out, che non riesco a smettere di ascoltare.

“Iris Out” – Kenshi Yonezu

Problemi di cuore

A me piacciono le persone a cui piaccio” dice Denji a Reze.

È la frase cardine del film e ne rappresenta l’essenza stessa. È detta spontaneamente, senza pensarci troppo, da parte di una persona che per molto tempo è stata da sola e ha paura di tornare ad esserlo.

Se c’è una persona che a Denji piace, però, quella è sicuramente Makima. E lui, ovviamente, pensa di piacerle, o quantomeno di essere interessante ai suoi occhi. Il nostro ragazzo dal cuore di motosega vede nell’algida donna dai capelli color lampone la persona che può realizzare i suoi sogni, quelli per cui Pochita ha donato la sua vita. Potete immaginare la gioia quando, nelle fasi iniziali della pellicola, i due escono insieme per un appuntamento, da soli. Passano un’intera giornata al cinema, guardando film su film; probabilmente non è quello che Denji si aspettava, ma lo sta facendo con Makima e quindi va bene lo stesso.

Uno dei suoi più grandi desideri si è appena realizzato.

Nessun film, però, sembra essere di loro gradimento: lui è spaesato e lei è impassibile come sempre. È l’ultimo lungometraggio a toccare le corde giuste: entrambi scoppiano a piangere, restando colpiti dalla delicatezza delle immagini appena viste. Denji, che continuava ad avere dubbi sul possedere o meno un cuore vero, viene quindi rassicurato da Makima, regalandogli  uno dei momenti più belli della sua vita.

Detta così, sembrerebbe una banale storia d’amore tra ragazzi; nulla di più sbagliato. Quello di Denji nei confronti di Makima non è amore, o comunque non è l’amore come lo intendiamo noi. È più l’esternazione del desiderio di essere importante per qualcuno, di appartenere a qualcuno. Makima, dal canto suo, è veramente interessata a Denji, ma forse non come lui pensa…

Sensualità esplosiva

A concludere il “triangolo amoroso” di questa storia c’è Reze. Ma chi è? È una ragazza affabile, dolce, gentile ed estroversa. Arriva come un fulmine a ciel sereno nella strampalata e confusionaria vita del nostro uomo-motosega e fa breccia nel suo cuore e nel nostro. Dotata di sensualità magnetica e travolgente, riesce in poche ore ad estromettere completamente Makima dalla testa di Denji, come se il giorno prima non fosse accaduto nulla.

La complicità, la gioia e la tensione erotica tra di loro è palpabile.

Proprio quando il film sembra improvvisamente diventare una rom-com sdolcinata, con un lieto fine imprevisto, veniamo riportati alla cruda realtà.

Reze, purtroppo, è un diavolo, il Diavolo Bomba: tutto l’interesse mostrato nei confronti di Denji non era altro che una montatura per arrivare al suo cuore, non per amore, ma per possedere il potere del Diavolo Motosega. Denji, però, quasi non curante di tutto il sangue versato durante il loro scontro, per paura di perdere la persona che per lui ora rappresenta tutto, le chiede di fuggire insieme. Lei perentoriamente rifiuta, ma il dubbio che quell’atteggiamento gentile e interessato non fosse tutta una recita, resta.

Proprio mentre questo dubbio sembra diventare una certezza, la dea bendata mette di nuovo i bastoni fra le ruote al nostro protagonista. Makima, rivelando la sua vera natura, uccide Reze: Denji è suo, il Diavolo Motosega è suo, è sotto il suo controllo.

Un altro tradimento, un altro momento di solitudine, altro dolore.

Uno sguardo al futuro

100 minuti di grande cinema d’intrattenimento, che riesce a mantenere sempre alta l’attenzione dello spettatore con dialoghi coinvolgenti e combattimenti crudi ed esagerati, coreografati limpidamente.

Se con la prima stagione avevamo a malapena scalfito la punta dell’iceberg, con questo film entriamo maggiormente nel vivo del racconto.

Denji continuerà ad essere il cuore della vicenda ma anche personaggi, che qui hanno ricoperto ruoli minori, come Aki o Kishibe, nel prosieguo della storia, saranno fondamentali e la loro presenza sarà sempre più gradita man mano che la discesa agl’inferi sarà più estenuante.

Non resta che aspettare e sperare che la produzione continui su questa linea, rendendo giustizia ad uno degli Universi più interessanti degl’ultimi anni.

In attesa di una nuova stagione o, più probabilmente, di un nuovo film, realizzate i vostri sogni, prima che sia troppo tardi!

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